(Giotto, Fuga in Egitto, Basilica Inferiore S. Francesco, Assisi, 1310 circa)

Domenica 28 dicembre 2025

DOMENICA SANTA FAMIGLIA DI GESU’ – ANNO A

Commento al Vangelo della domenica

Mt 2,13-15.19-23

Eccoci dopo aver contemplato la bellezza della grotta di Betlemme, a immergerci nel dramma e nella violenza del mondo. Solo pochi giorni fa abbiamo potuto gustare il senso dell’incarnazione di Dio, e in questa domenica ci troviamo di fronte a una famiglia, che deve affrontare la cattiveria umana. E impariamo come, dall’ascolto di Dio, comprendiamo il suo giudizio, che è un giudizio di salvezza. Questo brano chiude il secondo capitolo di Matteo, iniziando a parlarci già della missione futura di Gesù.

Il brano si apre con questa immagine: “I Magi erano appena partiti”, è appena cambiata la situazione, si volta pagina. Una partenza che rievoca subito un silenzio, un deserto, una mancanza. Prima la festa, adesso la solitudine, l’intimità della casa. L’essere umano è inattivo. In questa inattività, ecco l’angelo del Signore. Ecco il sogno, qualcosa di incontrollabile per noi, una dimensione passiva. A Giuseppe, l’angelo dice di agire, di alzarsi, di prendere “il bambino e sua madre”, una donna che non ha più un nome, ma la cui vita è ormai solo in relazione a Cristo. Tutte le loro vite, ormai, esistono in funzione di lui. Sognare e alzarsi.

“Nella notte” Giuseppe si alza e ascolta l’angelo, agisce. La notte dell’incomprensione, dell’inconscio, del sogno. La notte che ognuno vive, può essere luogo dell’azione per noi. Non sentiremo mai parlare Giuseppe in tutto il vangelo, e quindi neppure in questa occasione. Lui agisce, e porta a compimento il piano di Dio. Noi forse avremmo prima parlato, e poi agito, ma in Giuseppe la cifra si manifesta nella sua essenza di uomo giusto.

Qual era il piano di Dio? “Perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: «Dall’Egitto ho chiamato mio figlio»”, come il popolo di Israele prima fu portato in Egitto a causa di un Giuseppe venduto dai fratelli e poi uscì dalla schiavitù di Egitto attraverso Mosè, allo stesso modo un nuovo Giuseppe conduce Gesù in Egitto, luogo da cui sarà chiamato per la sua missione. L’Egitto, e il suo deserto, è immagine della nostra condotta, questo è il primo “discendere agli inferi” vissuto da Gesù, la sua missione inizierà con la risalita da questo abisso.

Il brano di oggi salta la drammatica immagine della strage degli innocenti, nata dall’invidia e dalla furia di Erode. Un passaggio sempre attuale, tutti noi abbiamo sotto gli occhi le stragi di innocenti e la furia dei folli. Riempiamo questo salto nella narrazione, con le immagini più o meno familiari a noi, vivendole con intima vicinanza e preghiera per le vittime.

Il racconto di oggi prosegue poi con altri due sogni di Giuseppe, protagonista silenzioso di tutta l’azione: alzarsi e sostare. Due azioni molto diverse, che richiedono sapienza e ascolto, ciascuna da svolgere al momento opportuno.

La prima azione, di movimento: «Àlzati, prendi con te il bambino e sua madre e va’ nella terra d’Israele», Giuseppe è invitato dall’angelo a tornare nella terra promessa. L’esilio sembra finito. A questa azione, prontamente svolta da Giuseppe, segue la paura, condizione umanissima di fronte alla follia della violenza. Dio non è sordo alla nostra paura, al cuore che batte di fronte alla guerra. E quindi, di nuovo in sogno, l’invito alla seconda azione, di prudenza e sosta: “si ritirò nella regione della Galilea e andò ad abitare in una città chiamata Nàzaret”. Inizia qui la cosiddetta “vita nascosta” di Gesù, quella parte lunghissima e per nulla raccontata che illumina tutte le nostre “vite nascoste”, fatte di quotidianità.

Nel vangelo di Matteo, con un salto di un versetto, saltano trenta anni di vita, fatta di vicoli, di amici, di routine quotidiana, di parole, di apprendimento, di pasti insieme, di silenzi, di lavoro, di preghiera, di pianto, di sorrisi. La vita di Gesù come la vita di ognuno di noi, una vita che si costruisce pian piano, giorno dopo giorno. Sapere che in questa città di periferia possa venire colui che salverà tutti noi, ci lascia sconcertati. Sembrano riecheggiare le parole di Natanaele a Filippo: «Da Nàzaret può mai venire qualcosa di buono?».

E invece, proprio nella periferia, Dio sceglie di restare la maggior parte del suo tempo, di imparare da noi essere umani a essere anche lui umano, impara a parlare, a pregare, a soffrire, ad amare. E noi dovremmo imparare, come Dio, a dare maggiore dignità alle periferie, anche a quelle esistenziali, a tutti quei luoghi intimi in cui si può sentire più forte il canto e il grido del creato, nell’intimo della quotidianità. Ogni famiglia, in fondo, è la culla di questa intimità feriale, e la Santa Famiglia di Nàzaret per tutti noi può essere un esempio da seguire per la dignità che dona a questa intimità. Sognare e alzarsi restano le immagini da seguire nella nostra vita.

Come ci ricorda Santa Chiara di Assisi “O beata povertà, che procura ricchezze eterne a chi l’ama e l’abbraccia! O santa povertà: a chi la possiede e la desidera e` promesso da Dio il regno dei cieli ed e` senza dubbio concessa gloria eterna e vita beata! O pia povertà, che il Signore Gesù Cristo, in cui potere erano e sono il cielo e la terra, il quale disse e tutto fu creato, si degnò più di ogni altro di abbracciare! Disse egli infatti: Le volpi hanno le tane e gli uccelli del cielo i nidi, mentre il Figlio dell’uomo, cioè Cristo, non ha dove posare il capo, ma chinato il capo rese lo spirito” (FF 2864)

Buona domenica della Santa Famiglia

Laudato si’!